Storie di Roma per bambini: Il diavolo a Roma
Il diavolo a Roma è di casa. Da sempre. Negli ultimi tempi, la sua “presenza” è stata notevolmente ridimensionata con la scomparsa di alcune denominazioni toponomastiche che rievocano la valle dell’Inferno, come l’Infernaccio e, soprattutto, con la soppressione della via Tiradiavoli (esistente fino al 1914 e poi incorporata nell’Aurelia antica), attraverso la quale, secondo la leggenda, nelle notti di plenilunio la famosa Donna Olimpia andava ad inabissarsi con la sua carrozza dorata trainata da diavoli sotto forma di cavalli dagli occhi di fuoco, dopo aver attraversato mezza Roma a tutta velocità per gettare un rapido sguardo alle sue perdute dimore terrene: il palazzo Pamphilj in piazza Navona e l’omonima villa gianicolense. Abolita la strada, annullata anche la diabolica gita in carrozza.
Già in precedenza, però, verso la seconda metà del ’500, altri diavoli erano stati costretti ad abbandonare la loro roccaforte: il Colosseo! Dopo aver resistito alle intimazioni di papi e santi e dopo aver superato anche la prova della “zaffetica” (una speciale miscela nauseabonda, a base di zolfo, con cui venivano esorcizzati i luoghi frequentati dai demoni), essi si fecero imprevedibilmente “convincere” da un tal Agnolo Gaddi, amico di Benvenuto Cellini. Tutto avvenne in questo modo nel giro di una sola notte: recatisi i due amici a curiosare nel Colosseo, alla vista dei diavoli – narra lo stesso artista – il suo amico Gaddi fu preso da tale spavento che «fece una strombazzata di corregge […] la quale potette più che la zaffetica». E i diavoli sparirono senza far più ritorno.
Ma il demonio che, com’è facile immaginare, ha una speciale predilezione per Roma, si può tranquillamente “ammirare” in varie raffigurazioni artistiche: con la bocca spalancata e con aspetto imbronciato, nel portale d’ingresso e nelle finestre del primo piano di palazzo Zuccari (casa dei Mostri) a Trinità dei Monti; in atteggiamento sorridente e con la testa cornuta, sui portoni della Zecca; comodamente disteso sulla base del monumento a Wolfang Goethe a Villa Borghese. E non bisogna dimenticare che egli ha sempre a disposizione la famosa “Sedia del diavolo”, nome con cui viene indicato il sepolcro di Elio Callistio.
Preferisce, tuttavia, frequentare i luoghi sacri. Lo conferma anche Stendhal nelle sue “Promenades dans Rome” (“Passeggiate romane”). “Un giorno”, egli scrive, “il diavolo e il vento passeggiavano insieme per Roma. Giunti davanti alla chiesa del Gesù, il diavolo disse al vento: ‘aspettami un momento qui, devo sistemare una cosa là dentro’. Ma il diavolo da allora non è più uscito, e il vento resta ancora lì ad aspettare!”. Con questa storiella i romani riescono a spiegarsi due cose: la costante ventilazione nella piazza del Gesù (dovuta, probabilmente, all’altezza del vicino colle Capitolino e alla particolare disposizione delle strade limitrofe) e… l’astuzia dei Gesuiti! Del resto Belzebù ha anche un proprio rappresentante nei processi di beatificazione: infatti, il cosiddetto “promotore della fede” è nientemeno che “l’avvocato del diavolo”. E non è tutto. Nella chiesa di S. Sabina all’Aventino viene indicata la “pietra del diavolo”: si tratta di un peso romano di basalto nero, conservato sopra una colonna tortile a sinistra della porta d’ingresso, con cui il maligno avrebbe tentato di colpire San Domenico di Guzman mentre era assorto nella preghiera. E nella basilica di S. Pietro non esiste forse la “colonna degli indemoniati”? E chi provocò il grande foro circolare nella cupola del Pantheon? Non furono forse le schiere di diavoli, per uscire in gran fretta quando il tempio pagano divenne chiesa cristiana?
All’interno della chiesa di S. Francesca Romana al Foro, un’iscrizione sopra due impronte spiega: «Su queste pietre pose le ginocchia S. Pietro quando i demoni portarono Simon Mago per aria». In molte altre chiese si può vedere il diavolo effigiato in vari atteggiamenti: nell’affresco del portico di S. Lorenzo fuori le mura; nella chiesa di S. Francesco di Paola, nella piazza omonima; nei grandi affreschi di S. Antonio Abate in via Carlo Alberto; nel capolavoro di Guido Reni nella chiesa dei Cappuccini in via Vittorio Veneto, dove si può ammirare il famoso “San Michele che calpesta il demonio”.