Storie di Roma per bambini: I facchini romani

Storie di Roma per bambini: I facchini romani

Facchino di via Lata 

Considerata dopo Pasquino e Marforio una delle più note “statue parlanti”, il Facchino di via Lata rappresenta in realtà un “acquaiolo”, appartenente, cioè, alla categoria degli “acquarenari” o portatori d’acqua con il caratteristico costume dell’epoca: reca infatti tra le mani un barilotto dal cui foro centrale una fistola versa acqua nella sottostante vaschetta semicircolare. Secondo un’altra versione la piccola fontana sarebbe stata invece dedicata ai facchini portatori di vino, di uno dei quali ritrarrebbe le sembianze, esattamente quelle di un tal Abbondio Rizio, noto per la sua forza erculea e per la smodatezza nel bere. Originariamente la fontanella era sormontata da una lapide con la seguente epigrafe dedicatoria (tradotta dal latino): Ad Abbondio Rizio, coronato sul pubblico marciapiede, espertissimo nel legare e soprallegare fardelli, il quale portò quanto peso volle, visse quanto poté, ma un giorno, mentre portava un barile di vino in spalla e un altro in corpo, morì senza volerlo. L’iscrizione ricordava, con l’espressione “coronato sul marciapiede”, anche lo strano rituale cui doveva sottoporsi il nuovo facchino: i colleghi, dopo avergli scherzosamente posto sul capo corone di bieta e verdure varie, gli facevano ripetutamente battere il sedere sul marciapiede, nel punto esatto della postazione a lui riservata. La cerimonia, che costituiva l’ufficiale presa di possesso del suo posto di lavoro, si concludeva sempre allegramente all’osteria. 

La graziosa fontana di autore ignoto, si trovava in origine nell’attuale via del Corso, sulla facciata del palazzo Grifoni, di fronte alla chiesa di S. Marcello. Era incorniciata da una edicola architravata e con la vasca sottostante più ampia. Nel 1872 fu spostata nell’attigua via Lata, addossata alla parete laterale del palazzo De Carolis (oggi della Banca di Roma), per salvarla dagli urti delle carrozze e dalle immancabili sassate dei monelli: gli uni e le altre allora assai frequenti. È infatti alquanto malridotta; costituisce, tuttavia, una testimonianza dell’umile e prezioso lavoro svolto dalla categoria degli “acquaroli”. Essa venne comunque realizzata in epoca rinascimentale, quando il compito della già potente corporazione andava tramontando con il ripristino e la riutilizzazione degli acquedotti romani che alcuni pontefici vollero opportunamente riattivare dopo le distruzioni operate dai barbari nel periodo delle invasioni.

Facchino di S. Onofrio 

Sotto il portico della chiesa di S. Onofrio al Gianicolo era un tempo murata la seguente iscrizione sepolcrale (tradotta dal latino): Tribunzio Squazzetti, portaceste nella sua prima età, poi ammesso nella categoria dei facchini, a nessuno fu secondo nel portare e trasportare pesi, straordinario nel vuotare bicchieri e nel giocare alla “morra”, visse 40 anni, ne lavorò 30; se fosse più vissuto avrebbe più lavorato. Fermati o passeggero, e al facchino eternamente assetato offri del vino. L’epigrafe, trascritta e pubblicata da Francesco Cancellieri, e dallo stesso studioso tradotta, ricordava, per analogia e contenuti, la figura del Facchino di via Lata. Essa fu poi trasferita (e scomparve) dal luogo dove si trovava, probabilmente perché riconosciuta non adatta all’ambiente, soprattutto quando, dalla originaria collocazione orizzontale all’interno della chiesa (prima cappella di destra), fu murata verticalmente all’esterno (parete accanto alla porta), la bellissima, quattrocentesca pietra tombale con la raffigurazione del beato Niccolò da Forca Palena di Sulmona, al cui attivo interessamento (1439) si deve, tra l’altro, la costruzione del suggestivo portico.