Storie di Roma per bambini: edicole di Roma pt.2
Edicola di Vespasiano e tassa “puzzona”
Nel tratto finale di quella che un tempo era detta la “Passeggiata Archeologica”, ed ora ha assunto la denominazione di “Parco di Porta Capena”, si apre l’ampio piazzale dedicato a Numa Pompilio da dove inizia la via di Porta S. Sebastiano che conduce direttamente all’ Appia Antica. Sul lato sinistro in fondo al piazzale, quasi a ridosso del Parco Egerio (inizio di via Druso) sorge uno strano monumento di epoca medievale (sec. XI-XII), un rudere di forma circolare a tre nicchie non esattamente identificato. Secondo alcuni studiosi potrebbe trattarsi dell’unico esempio di compitum pervenutoci, un sacello per divinità, cioè una specie di edicola sacra, di quelle che, specialmente in età augustea, i romani usavano costruire in corrispondenza di incroci importanti al fine di rendere propizi gli dei. Altri studiosi sarebbero propensi ad identificare in quell’antico manufatto un sacrario a forma di enorme fallo (la gigantesca apparenza giustificherebbe l’ipotesi), quasi un ex voto di ringraziamento per qualche guarigione “particolare”. Ma la questione non è di facile soluzione e il mistero potrà essere spiegato solo attraverso l’archeologia.
Secondo la vox populi potrebbe tuttavia trattarsi dell’ultimo “vespasiano”, di ciò che resterebbe, cioè, di quei famosi orinatoi pubblici che presero il nome dall’imperatore che li aveva “inventati” (il quale, in realtà, si era semplicemente limitato a tassare quelli già esistenti che consistevano in normali anfore prive di collo collocate in angoli strategici delle vie cittadine). E il sostantivo “vespasiano”, con lo stesso originario significato, si è tramandato fino ai nostri giorni. Ma non per un senso di gratitudine. Al contrario. L’imperiale . denominazione era stata “coniata” come forma di disprezzo verso – la figura di colui che, secondo la testimonianza di Svetonio (Vesp. XXIII), aveva applicato una tassa che i romani non erano abituati a pagare. Fino a quel momento, infatti, essi avevano sempre regolarmente provveduto a soddisfare le loro naturali esigenze fisiche senza mai ricorrere ad allentare i cordoni della borsa. Di qui mugugni, borbottii, malumori. Non potendosi sfogare con l’imperatore, i giovani cominciarono a prendere di petto il figlio Tito, loro coetaneo e amico, il quale si lasciò facilmente coinvolgere e aderì subito alla loro causa. Fino al punto di presentarsi al cospetto del genitore e a nome di tutti i romani reclamare per la “tassa puzzona”, come era stata definita la quota obbligatoria che consentiva di fare la pipi negli appositi “contenitori”.
La singolare e coraggiosa protesta dell’imperiale rampollo non ottenne, però, risultati apprezzabili perché Vespasiano, pur comprendendo il disagio, mise sotto il naso del figlio un sacchetto pieno di sesterzi, frutto parziale di quel pagamento obbligatorio, e poi, con paterna e convincente benevolenza gli rivolse la famosa espressione rimasta proverbiale: pecunia non olet, e cioè: «senti caro figliolo, tu e i tuoi amici siete liberi di lamentarvi di quella che considerate la “tassa puzzona”, ma devi comunque riconoscere che queste monete non hanno proprio un cattivo odore». E il povero Tito dovette rassegnarsi a sopportare ogni tanto gli insulti degli amici.